domenica 2 febbraio 2014

9 modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura di Gianni Rodari

Buona sera, ragazzi!
Beh, che ne dite del titolo? Ne avete sentito parlare?
Come nostro secondo post, abbiamo deciso che avremmo fatto comunque qualcosa insieme. Poi però arriva la crisi… Cosa? Che possiamo scrivere? Fortunatamente c’è un’invenzione che sia Wendy sia Alexandra approvano animatamente: Internet. Ci siamo messe online e, cercando articoli interessanti, abbiamo trovato questa serie di perle di saggezza di cui il mitico Gianni Rodari, che noi salutiamo da qua giù, ci ha omaggiato.
Ed eccoci qui, al computer, ansiose e con la paura di deludervi, che le riportiamo qui per voi.

1. Presentare il libro come un'alternativa alla TV

"Leggi, invece di guardare la televisione".
"Se non ti vedo leggere vendo la televisione".
"Prendi i libri di scuola, invece di perdere tempo con quelle stupidate".
Non pretendo di conoscere tutte le espressioni particolari usate dai sostenitori di questo sistema quasi infallibile. I bambini sanno che la tv non è una "stupidata": la trovano divertente, piacevole, utile. Può darsi che le sacrifichino qualche ora piú del necessario, può darsi che si riducano talvolta in quello stato di semi-incoscienza nel quale il telespettatore abituale, bambino e adulto, casca dopo qualche tempo, e di cui è sintomo la totale passività con cui accetta dal teleschermo, senza scegliere e senza reagire, qualsiasi programma. 
Questo non toglie che nel complesso i meriti educativi della tv superino i suoi demeriti. Il teleschermo arricchisce il punto di vista, nutre il vocabolario, mette in circolo una quantità inverosimile d'informazioni, inserisce i nostri piccoli analfabeti in un circuito piú vasto di quello familiare, che non sempre è vivificato dalle informazioni, dalla cultura, dalle idee. Si potrebbe quasi dire che la tv diminuisce le difficoltà della lettura. Intanto, perché crea (e sia pure a un livello discretamente basso) una specie di unità nazionale della lingua, e aiuta l'orecchio del bambino a superare l'ostacolo delle profonde differenze tra il dialetto nativo e materno e la lingua scolastica. Poi, perché rende familiari, attraverso il suono e l'immagine, un certo numero di parole "difficili", di quelle davanti a cui i piccoli lettori incespicano inevitabilmente; e forse oggi incespicano meno di prima.
Psicologicamente poi, non mi pare che negare un divertimento, un'occupazione piacevole (o sentita come tale, che è lo stesso) sia il modo ideale di farne amare un'altra: sarà piuttosto il modo di gettare su quest'altra un'ombra di fastidio e di castigo.

2. Presentare il libro come l'alternativa al fumetto
La tecnica di applicazione di questo sistema ricalca quella accennata alla voce precedente. "Ti brucerò tutti i giornalini, se non ti vedo leggere". "Cinque in lingua, eh? Da domani niente piú giornalini". Eccetera.
Proibire, proibire anche in questo caso, non serve a nulla. Vale poi la pena di proibire? Si è tanto discusso sui fumetti che ormai spezzare una mezza lancia in loro favore equivarrebbe a sfondare un portone spalancato. Farò solo un caso. Trent'anni fa, mese piú mese meno, uscì in Italia il primo autentico giornale a fumetti, l'ormai storico "Avventuroso", sparando nel tranquillo mondo provinciale delle nostre letture infantili i suoi Gordon, i suoi Mandrake e compagnia bella. 

Chi era ragazzo allora non può aver dimenticato l'effetto di quell'improvvisa apparizione. A quei tempi, nella letteratura infantile, la parte dell'ebreo, di quello a cui tutti dànno addosso, era ancora rappresentata (incredibile ma vero) dall'innocuo Salgari e dai suoi nobili pirati, i primi fumettari della storia. La nostra provincia pedagogica, soffocata dal pedantismo tradizionale, era interamente occupata, dentro e fuori della scuola, dal fascismo balillaceo, dalla sua retorica nazionalistica e guerriera, dai suoi impulsi regressivi. E coi fumetti, senza preavviso, piombavano tra noi gli spaziali. Una finestra si apriva a un tratto, non già sul mondo, ch'era impossibile, ma almeno sul cosmo della fantasia.
Guidati da un Verne meno poeta e meno responsabile, ma indubbiamente piú moderno, prendevamo contatto col mondo del futuro. Fantascienza, magia e stregoneria offrivano una via d'evasione che, date le circostanze, appariva quasi una via di liberazione. I quarantenni d'oggi, guardandosi indietro e mettendosi una mano alla coscienza, debbono riconoscere che Gordon è stata la lettura piú stimolante, piú istruttiva, probabilmente anche piú educativa della loro infanzia.
Le cose stanno oggi diversamente, il fumetto ha conservato solo la funzione di nutrire e alimentare il bisogno di avventure, di comicità da consumare in fretta, da rinnovare spesso: è maneggevole, è economico, è scambiabile: sostituisce un cinema per ragazzi che non c'è, e che la tv ancora non dà: non ha niente a che fare con la lettura, e un'altra cosa, ma i ragazzi non hanno bisogno soltanto di buone letture.
Del resto, leggere i fumetti è difficilissimo. Se non si ha una buona pratica, ci si rovinano gli occhi. Cominciare con i fumetti è come cominciare col saltare un metro per imparare a saltare venti centimetri.
Conosco filosofi che almeno una volta la settimana leggono un libro giallo. Eppure non si può mettere in dubbio che la loro passione dominante sia la filosofia. Conosco ragazzi che leggono molto e coltivano, con la mano sinistra, anche l'orticello dei fumetti. Ciò vuol dire, secondo me, che non c'è rapporto di causa ed effetto tra la passione per i fumetti e l'assenza d'interesse per le buone letture. Questo interesse evidentemente deve nascere da qualche altra parte, dove le radici dei fumetti non arrivano.

3. Dire ai bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più
L'adulto ha spesso la tentazione (e raramente vi resiste) di lodare "i suoi tempi", specie quelli di quand'era bambino, che la memoria gli dipinge di vivaci colori e gli presenta come una stagione ideale. La memoria è un'adulatrice e imbrogliona di prima forza, ma è difficile rendersene conto.
C'è una canzone milanese, piuttosto sboccata ma efficace; tradotta in italiano suona press'a poco cosí: "Belli come noi la mamma non ne fa piú, si è rotta la macchinetta, ecc.". Molta gente che non ha mai sentito parlare di questa canzone pensa e vive rispettando il suo imperativo categorico. 

"Una volta si leggeva di piú". Una volta quando? Cent'anni fa, quando sessanta italiani su cento non sapevano leggere? Venti anni fa, quando avevamo ancora una decina di milioni di analfabeti? Chi leggeva di piú? Quanti erano? Forse leggevano i ragazzi della buona borghesia, o piuttosto alcuni di loro: una piccola minoranza di una minoranza.
Ci sono le cifre, a smentire i genitori che portano continuamente se stessi a esempio alla loro prole: le cifre della scolarizzazione, le statistiche della editoria, le case editrici in aumento, le tirature che salgono. "Una volta la lira faceva aggio sull'oro". Bravi. Ma chi pagava perché fosse solida e benestante la signora lira? Milioni di disoccupati, milioni di famiglie che mangiavano pane e cipolla, e la carne una volta all'anno.
"Una volta c'erano dei bei libri per i bambini". Per quali bambini? Siamo sempre lí. Cosí succede che degli ottimi genitori regalano il Cuore ai loro figlioli, e si stupiscono di non vederli tutto il giorno con gli occhi rossi e gonfi di pianto. O regalano il Giornalino di Gianburrasca e si meravigliano perché i loro figlioli non si divertono piú.
Non si può chiedere ai ragazzi di amare il passato, un passato che non è il loro: e quando si ottiene di far identificare i libri col passato altrui, come cosa che non fa parte della loro vita, ma che bisogna ficcarci dentro "per far piacere a papà e mamma", s’è creato un motivo di piú perché i ragazzi, appena possono, si tengano lontano dai libri.

4. Ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni
"I bambini di oggi hanno troppe distrazioni, ecco perché leggono poco". Mettersi da questo punto di vista è indispensabile per chi non voglia capirne nulla dei bambini di oggi, e proponga tra l'altro di non riuscire a farli diventare amici dei libri. 
Uno dei drammi dell'infanzia d'oggi (e non solo dell'infanzia) riguarda appunto l'organizzazione del tempo libero. Quello che noi chiamiamo "tempo libero", se non ha un'adeguata organizzazione, non è che "tempo vuoto", tempo sprecato. Pensiamo alle nostre città, dove non ci sono spazi per giocare, non ci sono teatri per bambini, non ci sono biblioteche, e cosi via. Pensiamo alle nostre case cittadine, dove non c'è posto per la stanza dei
bambini. Pensiamo alle campagne, dove il bambino o vagabonda per i prati (beato lui), o viene messo precocemente al lavoro. I paragoni sono sempre odiosi, e perciò sono utili: bisogna farli proprio perché il pregiudizio li vieta, perché dai paragoni può nascere la critica e l'agitazione. Io non voglio paragonare il sistema educativo sovietico a quello italiano, la scuola sovietica a quella italiana: non so quale sia meglio, e conosco non pochi difetti sia dell'una che dell'altra parte. Una cosa certa è che il tempo libero dei ragazzi in Urss è infinitamente piú curato e organizzato che in Italia. Le "case dei pionieri" non sono che un elemento di quell'organizzazione, nella quale i ragazzi trovano la scelta tra numerosissime occupazioni, creative o ricreative, scientifiche o giocose, e via dicendo. Un ragazzo sovietico ha tante piú occasioni e possibilità di dedicarsi a qualche attività extrascolastica che verrebbe quasi da dubitare che la sua giornata sia troppo occupata. Questo però non toglie che nell'Urss vi sia una rete vastissima e capillare di biblioteche infantili e giovanili, e chi le ha visitate le ha trovate ogni volta, a ogni ora del giorno, affollate, di giovani lettori, ha visto libri consunti dall'uso sugli scaffali, s'è reso conto che i ragazzi sovietici conoscono i nomi dei loro autori per l'infanzia quanto i nostri conoscono quelli dei calciatori.
Insomma, piú distrazioni e piú libri. È possibile? Non è possibile: è un fatto. E questo non dipende dal numero e dalla qualità delle distrazioni (ossia delle occupazioni piú libere, e perciò piú amate, e perciò piú ricche di efficacia educativa). Dipende dal posto che il libro ha nella vita del paese, della società, della famiglia, della scuola.

5. Dare la colpa ai bambini se non amano la lettura
Questo non è propriamente un sistema: è un atteggiamento generale, che però ha l'importanza e l'efficacia del sistema. Dare la colpa ai bambini, oltre che facile, è comodissimo, perché serve a coprire le colpe proprie.
Riconosciamo, rovesciando in parte un ragionamento precedente, che i bambini non leggono abbastanza, che le tirature potrebbero essere maggiori, che il boom del libro per ragazzi è ancora di là da venire. Se cerchiamo dei perché un po' meno comodi dell'accusa prepotente che si rivolge ai bambini, troviamo colpe di genitori: vi sono troppe case in cui non entra mai
un libro, vi sono migliaia di laureati senza biblioteca, ci sono tanti padri che non leggono nemmeno il giornale, e poi si meravigliano se i figli fanno come loro. Vi sono colpe pubbliche: della scuola e dello Stato; e vi sono le colpe della nostra cultura, sempre troppo aristocratica per porsi dei compiti pedagogici. Leggiamo sui giornali brillanti articoli di brillanti e colti personaggi che deridono il pubblico che compra a dispense la Divina Commedia, o una delle tante enciclopedie a puntate. Forse rimpiangono il tempo in cui a puntate si compravano solo i romanzi di Carolina Invernizio.
In America, in Inghilterra, in Russia, i professori universitari non disdegnano di scrivere opere di divulgazione scientifica rivolte ai ragazzi: da noi i divulgatori di qualità si contano ancora su mezza mano.
Piú in generale, non c'è una presa di coscienza collettiva della società adulta nei confronti della società infantile. Nel campo dell'editoria per ragazzi il criterio commerciale prevale tutt'ora sul criterio pedagogico: esiste quasi un collegamento tra le punte avanzate della pedagogia e gli editori, per i quali "educativo" è generalmente ancora sinonimo di "noioso".
Accusato come il solo responsabile d'una situazione complessa, e ancor piú complicata dalla crisi degli ideali educativi fino a ieri pacificamente accettati, il bambino reagisce come può: scappando in cortile a giocare, o nascondendo sotto il cuscino il suo caro albo a fumetti.

6. Trasformare il libro in uno strumento di tortura
Questo sistema, a dispetto del rinnovamento didattico e delle belle parole, trova intensa applicazione nelle scuole d'ogni ordine e grado. Gli esperti cominciano a servirsene fin dalla prima elementare, assegnando ai bambini per compito di copiare pagine su pagine del loro primo libro di lettura. In seconda al lavoro di copiatura (che per il bambino non ha il minimo senso e non una briciola di interesse) si può aggiungere il lavoro di divisione in sillabe. Sai che divertimento. Col tempo, arriva l'analisi grammaticale, poi fa il suo ingresso trionfale l'analisi
logica. Prendete un bel raccontino di Tolstoj, condannate uno scolaretto ad analizzare nomi e pronomi, verbi e avverbi, e vi do per certo che, vita natural durante, egli associerà il nome di Tolstoj a una viscerale sensazione di fastidio che lo terrà lontano da Anna Karenina come dalla peste e gli farà schivare Guerra e pace come schiverebbe un nugolo di tafani.
La trasformazione del libro in uno strumento di fatica prosegue e s'intensifica attraverso le varie fasi del riassumere, del mandare a memoria, del descrivere le illustrazioni, ecc. Tutti questi esercizi moltiplicano le difficoltà della lettura, anziché agevolarle, fanno del libro un pretesto togliendogli ogni capacità di divertire, se originariamente ne possedeva, di commuovere se ne era capace, d'interessare se era concepito per interessare.
La lettura non è piú un fine da perseguire lodevolmente, ma un mezzo per attività piú serie, o presunte tali. Ciò corrisponde perfettamente alla concezione del bambino come mezzo: sia il fine il voto, la pagella, I'addestramento alla pazienza, la preparazione alla vita. Chissà quale preparazione a quale vita: presumibilmente alla vita concepita come una sofferenza, per la quale bisogna essere allenati. Il libro che entra nella scuola sotto lo schema del rendimento scolastico produce riflessi meramente scolastici: non diventa la cosa bella e buona, di cui si ha bisogno, ma la cosa che serve al maestro per esprimere un giudizio. La scuola come tribunale, anziché come vita. Cosí è esclusa la difficoltà principale, cioè quella di far nascere il bisogno della lettura, che è un bisogno culturale, non un istinto, come mangiare bere e dormire, non una cosa della natura.

7. Rifiutarsi di leggere al bambino
La voce della madre, del padre (e del maestro) ha una funzione insostituibile. Tutti obbediamo a questa legge, senza saperlo, quando raccontiamo una favola al bambino che ancora non sa leggere, creando, per mezzo della favola, quel "lessico familiare" nel quale l'intimità, la confidenza, la comunione tra padri e figli s'esprimono in modo unico e irripetibile.
Ma quanti hanno la pazienza di leggere una favola ai figlioli, magari anche quando già sanno leggere da soli, o saprebbero ma sono pigri per farlo, o lo fanno abitualmente, ma pure hanno bisogno, di quando in quando, di non essere soli con la favola?
La favola scritta è già il mondo: non è piú "lessico familiare", è contatto con una realtà piú vasta, conosciuta attraverso la fantasia, che nei bambini è come il terzo occhio.
Si tratti delle novelle di Andersen o della vita degli insetti, di Pinocchio o di Verne, e magari, eccezionalmente, di Paperino e Paperon de' Paperoni, quel che conta nella lettura comune non muta la sostanza: è la promozione del libro da mero oggetto di carta stampata a intermediario affettuoso, a momento della vita.
Ci vuol pazienza, per questo. Ci vuole anche abilità: bisogna saper leggere con espressione, o sforzarsi di farlo; bisogna anche saper tradurre, perché non sempre il vocabolario scritto corrisponde a quello d'una perfetta lettura, e non sempre gli scrittori scrivono chiaro, o pensano al lettore prima d'adoperare un termine inconsueto, una parola aulica, un vezzo letterario fine a se stesso.

8. Non offrire una scelta sufficiente 
Noi non leggiamo il primo libro che ci capita per le mani. Ci piace scegliere. Raramente, invece, al bambino è offerta una scelta sufficiente. Gli regaliamo un libro di favole, lo mette da
parte: ne concludiamo che non gli piacciono le favole, mentre può darsi che in quel periodo abbia semplicemente altri interessi. Ecco perché la bibliotechina, personale o collettiva, è indispensabile. Venti libri sono meglio di uno, e cento meglio di venti, perché possono suscitare curiosità diverse, appagare o stimolare interessi diversi, rispondere ai mutamenti di umore, alle svolte della personalità, della formazione culturale, della informazione.
S'intende che dietro una bibliotechina ci deve essere un delicato lavoro di aggiornamento, una riflessione attenta, una sensibilità vigile. Non si ottiene niente per niente, né dalla natura né dai bambini. Ma qui entrerei, senza volerlo, nella serie delle indicazioni dette positive, mentre mi sono assunto il compito di elencare alcuni metodi negativi (nella speranza, certo, che l'elencazione stessa suggerisca qualche antidoto).

9. Ordinare di leggere
Il nocciolo di questo sistema è già presente in altri ai quali ho accennato in precedenza. Esso è però tanto importante che merita una trattazione a parte. È indubbiamente il piú efficace, se si vuole che i ragazzi imparino a odiare i libri. Sicuro al cento per cento. Facilissimo da applicare. 

Si prende un ragazzo, si prende un libro, li si mettono entrambi a tavolino e si proibisce che il terzetto si divida prima d'una certa ora. A maggior garanzia che l'operazione riesca, si annunzia al ragazzo che al termine del tempo prescritto dovrà riassumere a voce le pagine lette. Le applicazioni scolastiche sono anche piú semplici. Non c'è che da dire: "Leggete da qui fin qui", e l'ordine sarà senz'altro eseguito, anche con la complicità dei genitori.
Sia dall'uno che dall'altro esperimento il ragazzo ricaverà per suo conto una lezione che non dimenticherà: e cioè, che leggere è una di quelle cose che bisogna fare perché i grandi la comandano, uno di quei mali inevitabili, collegati con l'esercizio dell'autorità da parte degli adulti. Ma appena saremo grandi anche noi, appena saremo adulti a nostra volta, appena saremo liberi...
A giudicare a posteriori, cioè dal numero degli adulti legalmente alfabetizzati che, una volta usciti dalla minore età, non leggono piú un rigo, questo dev'essere, di tutti i sistemi, il piú diffuso.
Da qualche centinaio d'anni i pedagogisti vanno ripetendo che come non si può ordinare a un albero di fiorire, se non è la sua stagione, se non sono state create le condizioni adatte, cosí non si può ottenere alcunché dai bambini per la strada larga dell'obbligo, ma bisogna per forza cercare strade meno agevoli, sentieri meno comodi. Ma i pedagogisti predicano, e il mondo va per la sua strada. Il disprezzo per la teoria è antico quanto il proverbio secondo il quale "Val piú la pratica che la grammatica".
Parole come "disciplina", "severità" (che è la caricatura della fermezza) e simili, hanno corso tuttora come moneta buona, nonostante la progressiva svalutazione. La scienza del "creare condizioni" perché la pianta umana voglia ciò che deve, e accetti, anzi, senza desideri, l'innesto della cultura, e abbia bisogno del meglio, e dia insomma tutti i frutti che può dare, è nella pratica ancora ai primi passi. Una tecnica si può imparare a scapaccioni: cosí la tecnica della lettura. Ma l'amore per la lettura non è una tecnica, è qualcosa assai di piú interiore legato alla vita, e a scapaccioni (veri o metaforici) non s'impara.

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Non vi pare tutto anche fin troppo vero? Quante volte invogliando (in maniera anche un po' troppo convinta) i bambini a leggere abbiamo ottenuto l'effetto opposto? I bambini rifiutano ogni forma di imposizione. E noi questo lo sappiamo bene perché non solo noi siamo state le prime a rifiutarci di leggere nel momento in cui ci è stato imposto, ma anche perché più volte Wendy ha cercato di far leggere la sua sorellina e Alexandra il suo fratellino, con risultati però fallimentari. Solo nel momento in cui abbiamo smesso di chiedere ai nostri fratellini di leggere loro si sono avvicinati alla lettura, spinti soprattutto dalla curiosità di capire cosa fosse in grado di stregare così tanto le loro sorelle e adesso entrambi amano leggere. Non quanto le loro sorelle, ma del resto non abbiamo mai osato chiedere la luna ;).
E che altro dire, ragazzi? Gianni Rodari la sapeva lunga, eh?
Nella realtà non possiamo sperare di diventare come lui, ma nei sogni tutto è possibile, no? 

Un bacio a tutti e alla prossima (si spera con qualcosa scritto da una di noi),
Alexandra e Wendy.

4 commenti:

  1. Molto interessante, ragazze, anch'io ho un fratellino e una sorellina che voglio imparino a leggere e forse li forzo un po' troppo. Mi sa che devo proprio seguire i consigli di Gianni Rodari!
    Un bacio, ragazze, ci vediamo domani a scuola ;)!
    P.S. Non voglio fare latino!!!

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  3. Ciao ragazze, ho letto questo intervento con grande piacere.
    Rodari era uno che di bambini se ne intendeva, ma su certi punti il discorso risente del fatto che, a occhio e croce, l'autore scriveva questa analisi negli anni sessanta. La televisione di cui parla non esiste più. L'affermazione che " nel complesso i meriti educativi della tv superino i suoi demeriti" secondo me oggi vale solo per i canali tematici. Perché la televisione generalista è fortemente diseducativa. Anche il discorso sui fumetti "non lettura" non conserva neppure una traccia di validità. E non solo per la diversificazione dei generi e dei target della nona arte, ma anche perché l'operazione Geronimo Stilton, o quella de I diari di una schiappa, hanno davvero creato un una narrativa per immagini, che non insegna più né a parlare né a scrivere.
    Il che chiaramente non significa che Rodari non aveva ragione, ma solo che oggi non ce l'ha più, in merito a questi punti. Il punto tre invece è una menzogna ancora valida. Siamo ad un alto livello di alfabetizzazione, quindi leggiamo. Cose peggiori, forse. Ma questa è un'altra storia. Al punto 5 c'è una causa interessante, la 'colpevolizzazione'; è quasi sempre una conseguenza di genitori che non leggono. Gli stessi che in libreria, oggi, danno vita a scene raccapriccianti in cui negano l'acquisto di un libro perché "non hai neppure finito quello che ti ha comprato la zia a Natale" oppure "ma ne hai già tanti".
    Sul punto 6, 'libro strumento di tortura', sono totalmente d'accordo. E la colpa è della scuola. E un po’ di Manzoni, lasciatemelo dire ;), è sullo stesso tenore anche l'ultimo punto. Non si ordina di leggere, proprio come non si ordina di amare. Sono verbi che non sopportano l'imperativo.
    Il punto sette, da mamma, lo definisco la vera causa delle scarse attitudini alla lettura dimostrate dai certi ragazzi. La scuola di magia comincia da piccoli. Se neghi la magia della lettura a tuo figlio, se gli neghi il viaggio, è improbabile che diventi un mago. O un viaggiatore.
    Grazie per questa condivisione, è stato un piacere leggerla.

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  4. Concordo su tutto, secondo me l'approccio alla lettura deve essere spontaneo, o almeno apparire tale al bambino. dopodiché noterà lui stesso che leggere è bello, che immergersi nelle pagine di un libro non annoia mai.
    Metterà da solo da parte la TV preferendo le propria fantasia, che solo un buon libro sa sviluppare.

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